Ti è mai successo di avere un pensiero che si ripete incessantemente e non ti dà pace? E ti è mai accaduto di non capire se quel pensiero descriva la tua realtà o meno?
Se ti è successo, saprai che questo può far vergognare, generare angoscia, farti sentire in trappola.
Ecco un pensiero ossessivo.
Si tratta spesso di idee bizzarre, ripetitive, apparentemente assurde, frustranti.
Queste ci inducono ad esercitare un controllo costante su alcuni aspetti della nostra personalità ed a cercare indizi che possano confermare l’esistenza di quella caratteristica che ci ossessiona.
Così facendo, non risolviamo il dilemma. Abbiamo solo accentuato la nostra sofferenza.
In questo articolo cercheremo di capire insieme come distinguere un pensiero ossessivo da uno reale e come uscire dalla trappola.
Cosa sono i pensieri ossessivi?
I pensieri ossessivi sono pensieri che sembrano essere come gli altri, anzi, sono molto più suggestivi ed hanno un grande potere attrattivo. Arrivano per suggerirci qualcosa che è inevitabile da ascoltare, qualcosa che ci tiene incollati a loro perché potente.
Possono dirci insistentemente che potremmo farci del male, oppure farne a qualcuno a cui vogliamo molto bene, come i nostri figli, ad esempio, o i nostri allievi.
“Tolgo dalla mia vista coltelli e forbici quando ho vicino i miei bambini perché temo di poter fare loro del male. È un pensiero che mi perseguita, mi angoscia e mi spaventa. Mi sento cattivo. Posso davvero fargli del male?”
Queste sono state le parole di un mio paziente. Gli proposi di non mettere via coltelli e forbici e lo invitai a disporli in bella vista, sulla tavola possibilmente, soprattutto in presenza dei bambini.
Non si trattava di un pensiero qualsiasi, ma di un pensiero ossessivo, che nulla aveva a che fare con la reale volontà di far del male ai suoi bambini.
Per placare paura e frustrazione decidiamo di mettere in atto dei rituali che ci rassicurano inizialmente ma che poi ci rendono ancor più fragili. È questa è la trappola.
Alcuni esempi di pensieri ossessivi
Molte persone riportano esperienze di pensieri ossessivi relativi all’orientamento sessuale, si sentono traditori del partner, sleali. Altri pensieri ci tormentano dicendoci che siamo cattivi, aggressivi, non meritevoli, pericolosi, violenti.
Il pensiero ossessivo giunge a noi come apparente suggerimento. E come ignorare un suggerimento?
“Perché sto guardando la mia insegnante di yoga? La trovo bella, attraente? Perché la osservo? Provo eccitazione? Sono omosessuale? O forse no? Come faccio a capire se lo sono? Come faccio ad averne la certezza? Ho bisogno di una certezza, altrimenti potrei impazzire!”
Una paziente mi disse che per sciogliere il nodo ossessivo sull’omosessualità trascorreva il pomeriggio a monitorare l’attrazione che esercitavano su di lei le donne che incontrava per strada. Questo generava evidente sofferenza.
Ossessione o realtà?
Come distinguo un’ossessione dalla realtà?
Le ossessioni sono intrusive, provocano molta sofferenza, non ci danno pace ed hanno tanto, moltissimo potere su noi. Arrivano ad essere il nostro tormento, la nostra maggiore angoscia. Il banale suggerimento “beh, prova a fare qualcos’altro, distraiti!” non è funzionale, è impossibile da attuare. Non a caso la parola ossessione deriva da “assedio”. Un assedio in cui la mente sperimenta uno stato di invasione tale che nient’altro può essere pensato, nient’altro può essere fatto.
Il loro obbiettivo è la paralisi.
Il pensiero ossessivo induce ad effettuare per buona parte del nostro tempo un lavorio di discussione dentro noi stessi. E questo stanca. Sfinisce. Paralizza.
Un pensiero non ossessivo non ha questo potere distruttivo né le caratteristiche sopra descritte.
Perché le ossessioni continuano a tornare?
Le ossessioni diventano un’occupazione della nostra mente. A causa di queste spendiamo moltissime energie e sofferenza. Perché? La risposta è semplice: in buona parte evitano che ci concentriamo su altri contenuti.
Ricordo un paziente terrorizzato rispetto alla fine del percorso universitario. È una problematica comune a molti studenti impauriti per l’ingresso nel mondo dei “grandi”. In procinto di sostenere l’ultimo esame prima della laurea magistrale venne assalito da pensieri ossessivi di vario genere (moltissimi di natura omosessuale) che non gli permettevano di studiare. Bocciò più volte quest’ultimo esame e la laurea venne rimandata.
Che funzione hanno avuto i suoi pensieri ossessivi?
Gli hanno permesso di restare studente ancora un po’ e di rimandare il problema dell’ingresso nel mondo adulto, che tanto lo spaventava.
Lo scopo, dunque, è quello di distrarre la nostra mente da altre emozioni che sarebbero più minacciose, come la paura di non essere all’altezza, di non essere amati, di essere inadeguati, non sapere stare in una relazione. Può sembrare strano, ma ossessionarsi può essere preferibile rispetto a confrontarsi con le nostre vere paure.
Come lavorare sulle ossessioni?
“Ho sognato di fare l’amore con una donna, sono lesbica. O forse no? Devo lasciare il mio compagno? Vero? Sono cattiva e sporca. I miei pensieri sono osceni”.
Per le persone che hanno idee ossessive è particolarmente importante avere conferme costanti, avere tutto sotto controllo. Il terapeuta dovrà astenersi dal far credere che questo possa essere possibile.
E’ possibile, dunque, lavorare sulle ossessioni? Certo che lo è.
Lavorare con le ossessioni significa staccarsi dal loro contenuto (sono violenta, cattiva, posso far male ai miei bambini, sono una traditrice, ecc..) e chiedersi piuttosto quale funzione abbia questa ossessione, da quale altro pensiero voglia distoglierci.
Non pensare alle ossessioni significa dover pensare a qualcos’altro che può essere spaventoso, oppure significa trovarsi improvvisamente vuoti. La soluzione sta quindi nel capire, all’interno di un percorso psicoterapeutico, cosa si celi davvero dietro questo pensiero costante, angosciante e che ci paralizza.
Il punto che dobbiamo rammentare è questo: quei pensieri non rappresentano il vero desiderio interiore. I contenuti ossessivi non sono desideri inconsci e la persona dovrà ben capire questo concetto, magari con l’aiuto di un buon collega, con cui percorrerà il viaggio della psicoterapia.
Per approfondire la tematica, qualche spunto.
Il primo autore è ovviamente Freud, lui non manca mai. Leggere il caso clinico dell’uomo dei topi è molto interessante, insieme a molti altri testi dell’autore.
Il testo di Borgna, le emozioni ferite, ci insegna molto, sempre.
Camillo Loriedo dà della problematica una lettura all’interno delle relazioni familiari, ci parla quindi delle dinamiche della famiglia. Interessante è anche l’approccio, anch’esso sistemico relazionale (è questo il nome tecnico), di Valeria Ugazio.
A Gianni Liotti va il merito di aver arricchito la psicoterapia cognitivo comportamentale italiana. Suggerisco dunque, per chi preferisse l’approccio cognitivo comportamentale, i lavori di Guidano e Liotti.
Dott.ssa Giulia Peccianti
Psicologa-Psicoterapeuta
lapsicologiapositiva.it